IL 4-3-3 E GLI INSEGNAMENTI DI LIPPI E TRAPATTONI

 
All'indomani del match di Coppa Italia tra Juventus e Sassuolo, si è scatenato il dibattito sul modulo migliore che Massimiliano Allegri dovrebbe scegliere per la sua squadra.

Dopo aver schierato il nuovo tridente Morata-Dybala-Vlahovic contro il Verona, l'allenatore bianconero ieri è tornato al suo caro 4-4-2 e i risultati sono stati evidenti, perché la squadra ha fatto un passo indietro rispetto alla gara di Campionato.

Il centrocampo a due Zakaria-Arthur è stato in difficoltà per tutto il primo tempo, mentre in avanti il centravanti serbo si è trovato spesso isolato e poco servito, proprio come accadeva prima del suo arrivo al povero Alvaro Morata, messo spesso sul banco degli imputati. 

Soltanto quando Allegri, nel secondo tempo, ha deciso di inserire proprio lo spagnolo per tornare al 4-3-3, la Juventus ha cominciato a macinare gioco e ha messo alle corde il Sassuolo, fino al gol vittoria di Vlahovic, seppur arrivato grazie a una deviazione di un difensore.


È probabile, dunque, che i prossimi giorni, se non settimane, siano caratterizzati dal dibattito sul modulo che la Juventus dovrebbe adottare da qui in avanti e, in tal senso, la storia più darci una mano. Se, infatti, come spesso si dice, le risposte stanno nel nostro passato, lo stesso discorso vale per i bianconeri.

Se analizziamo i periodi d'oro della squadra e, in particolare quelli di Trapattoni e Lippi, gli unici, fino a oggi, ad aver portato la Coppa dei Campioni a Torino, vediamo che il segreto del loro successo sta proprio nel modulo di gioco e, soprattutto, negli interpreti.

Prendiamo, per esempio, la Juventus 1984-85, quella della maledetta finale dell'Heysel: nonostante la nomea difensivista di Trapattoni, il mister schierava una formazione fortemente offensiva, anche nella finale contro il Liverpool e che faceva perno sul tridente Rossi-Platini-Boniek (senza contare l'apporto di Briaschi). 

Certo, a centrocampo c'era da soffrire, ma avevamo polmoni come quelli di Bonini e TardelliÈ stata proprio questa visione offensiva del calcio che ha portato la Juventus a primeggiare in Italia e in Europa, perché fin da allora risultava chiaro che per vincere era necessario un calcio d'attacco e segnare un gol più dell'avversario. 

Facciamo un salto di quasi dieci anni e arriviamo alla Juventus di Marcello Lippi, quella della seconda Champions League vinta a Roma contro l'Ajax. Anche in quel caso, il modulo era un 4-3-3, ancora più spregiudicato rispetto a quello del Trap. In avanti c'erano Vialli, Del Piero e Ravanelli e a centrocampo due mastini come Deschamps e Conte e il cervello di Paulo Sousa.


Ebbene, anche in quegli anni, con una concezione offensiva del calcio, la Juventus è riuscita a primeggiare e a giocare ben tre finali di Champions consecutive. Non era una squadra sbilanciata, ma offriva un calcio propositivo atto a dominare le partite e a imporre il proprio gioco. 

Se non bastano questi due esempi, possiamo anche parlare della Juve del primo ciclo di Allegri, ovvero quella della finale di Berlino e quella di Cardiff. Anche in quel caso, il modulo strizzava l'occhio al 4-3-3, seppur in modo più prudente. Nel primo caso Morata e Tevez erano spesso supportati da Vidal che fungeva da terzo attaccante, mentre a Cardiff il tridente era più netto, con Higuain, Dybala e Mandzukic.

Insomma, la storia, e non solo quella bianconera, ci ha insegnato che, soprattutto in Europa, si vince adottando una mentalità offensiva e sacrificando quell'equilibrio tanto caro ad Allegri in cambio di qualità in avanti. 

Con l'arrivo di Zakaria e Vlahovic, la Juventus ha messo a posto la sua rosa e ora ha davvero la chance di sfruttare al massimo tutto il suo potenziale. Eppure, il problema sembra sempre il solito, ovvero la voglia di rischiare e di avere quel coraggio e quel pizzico di incoscienza che, in passato, ha fatto la fortuna dei bianconeri. 


(Marcello Gagliani Caputo)


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