La Juventus e il Pallone d'Oro - Prima Parte


 Il legame tra la Juventus e il Pallone d’Oro affonda le radici molti decenni fa, quando appena cinque anni dopo l’istituzione del premio da parte della rivista francese “France Football”, un calciatore bianconero lo portò a Torino e in Italia per la prima volta. 


Il merito fu di Omar Sivori che, nel 1961, divenne il primo calciatore della Juventus e della Serie A ad aggiudicarsi il prestigioso premio, grazie ai 46 voti raccolti dalla giuria composta da rappresentanti di 19 Paesi. 

L’incoronazione avvenne il 12 dicembre del 1961, una settimana prima che l’argentino segnasse il suo centesimo gol con la maglia bianconera nel match contro il Venezia. 

Erano gli anni del grande Real Madrid di Di Stefano e Puskas e del Barcellona di Luis Suarez, ma l’estro e la classe del “Cabezon” seppero conquistare i giudici, che lo preferirono proprio a Suarez e ad Haynes del Fulham. 

La vittoria di Sivori significò per la Juventus e, soprattutto, per il compagno di reparto John Charles una piccola rivincita, visto che il gallese era arrivato terzo appena due anni prima, preceduto da Di Stefano e Kopa. 

Dall’exploit di Sivori, dovettero passare altri dieci anni prima che un altro calciatore della Serie A vincesse il Pallone d’Oro, grazie alla classe e all’eleganza del milanista Gianni Rivera, che lo fece suo nell’edizione del 1969, dopo una sfida tutta italiana con Gigi Riva. 



In quegli anni, peraltro, il calcio europeo era dominato dallo strapotere di corazzate come il Bayern Monaco di Beckenbauer e l’Ajax e il Barcellona di Cruyff, che si spartirono il Pallone d’Oro all’inizio degli anni ’70. 

L’Italia rimise la testa fuori soltanto nel 1973, grazie a un altro juventino, il portiere e futuro Campione del Mondo Dino Zoff che, nell’edizione di quell’anno, si piazzò al secondo posto, alle spalle proprio di Cruyff. 

Dal 1976 al 1980, il Pallone d’Oro fu una questione tutta tedesca, tra Bayern Monaco, Borussia M’gladbach e Amburgo, fino a quando Paolo Rossi spezzò l’incantesimo, dopo aver trionfato nei Mondiali spagnoli del 1982 con l’Italia di Enzo Bearzot

“Pablito” fu il secondo calciatore della Juventus ad aggiudicarsi il Pallone d’Oro, davanti al francese Giresse e all’altro juventino Boniek. 

Era la Juve di Giovanni Trapattoni, quella che dopo aver vinto la prima competizione europea, si stava preparando ad assaltare la tanto agognata Coppa dei Campioni e Paolo Rossi era il centravanti di una squadra straordinaria, che sarebbe stata presa per mano da Michel Platini


Il Pallone d’Oro per Paolo Rossi fu uno dei più importanti e significativi per la storia della Juve e del calcio italiano, perché significò anche il riscatto di “Pablito” dopo la spiacevole vicenda del calcioscommesse, che gli era valsa una squalifica. 

Il Pallone d’Oro a Rossi fu soltanto il primo di quattro consecutivi vinti da calciatori della Juventus, perché dopo il centravanti ex Vicenza, salì in cattedra Michel Platini che si aggiudicò l’ambito premio per tre edizioni consecutive, dal 1983 al 1985. 

In quegli anni, il fuoriclasse francese vinse tutto ciò che poteva vincere, in Italia e in Europa e ancora oggi questo suo risultato è secondo soltanto a Lionel Messi, che si è aggiudicato quattro Palloni d’Oro di fila. 

Il 27 dicembre del 1983, su “La Stampa”, un articolo di Bruno Perucca celebrò la prima vittoria del numero 10 della Juventus: «Il Pallone d’oro di Michel, pur coinvolgendo logicamente nei meriti la squadra bianconera, premia il giocatore per le sue prodezze, per il peso del suo rendimento sul complesso che lo ospita, insomma per quanto vale senza il bisogno di particolari etichette. […] Platini è infatti il primo calciatore francese a mettere le mani su un trofeo ormai classico, assegnato la prima volta nel '56 all’inglese Stan Matthews. […] Il successo alla fine di una inchiesta che ha avuto larga partecipazione, arriva a Platini nel momento del suo maggiore rendimento.

Chi l’ha votato ha visto lontano, è stato inoltre beneaugurante. Se si guarda al giocatore poliedrico, che in campo sa fare di tutto, dal difensore (sia pure controvoglia, nel caso di Michel) al regista, al goleador, allora non ci sono dubbi. Platini merita il trionfo europeo.»

Come tutti i tifosi juventini sanno, con l’addio di Platini nel 1987, per la Juventus si aprì un periodo molto difficile, caratterizzato dall’ossessiva (e fallimentare) ricerca di un erede del francese. 



Ci vollero, così, alcuni anni prima che un altro juventino mettesse le mani sul Pallone d’Oro e fu, ancora una volta, un numero 10 colui che riuscì finalmente a raccogliere la pesante eredità di “Le Roi”, ovvero Roberto Baggio, il “Divin Codino”. 

Era il 1993, il calciatore era arrivato alla Juventus da qualche anno, tra polemiche e un feeling mai sbocciato con la tifoseria a causa del suo ingombrante passato alla Fiorentina. Tuttavia, grazie alla sua classe cristallina e a giocate straordinarie, Baggio riuscì a riportare la Juventus in alto, trionfando proprio nella stagione 1992-93 in Coppa UEFA, di cui fu assoluto protagonista. 

L’ex viola fu il terzo calciatore italiano a conquistare il Pallone d’Oro, dopo Rivera e Paolo Rossi, e fu giustamente celebrato sui giornali, tra cui “La Stampa” di Torino, in cui Fabio Vergnano raccontò l’emozione del numero 10 della Juventus: «[…] Oggi Roberto Baggio leggerà e rileggerà il proprio nome inciso sul basamento che sostiene il Pallone d'Oro e capirà che è giunta l'ora di prendere posto al tavolo dei grandi. È davvero finita l'epoca in cui si sentiva capace di vincere soltanto i tornei del bar sotto casa. Il Codino come Rossi, come Gullit, come Platini, come Van Basten. Una favola? No, all'ora del caffè sarà tutto vero. [...] Dopo Sivori, Rossi e Platini, prosegue la tradizione dei grandi della Juve decorati a Parigi. Ma oggi si sente finalmente uno juventino totale? “Lo sono al cento per cento. I malintesi, le polemiche fanno ormai parte del passato. Io ho sempre giocato per la squadra, ho sempre fatto gli interessi della Juve. Qualcuno non ha voluto capire certi miei gesti, quello della sciarpa raccolta a Firenze per esempio, ma cosa posso farci? Avrei potuto essere ruffiano, diventare beniamino dei tifosi molto prima. Non ho fatto nulla perché sono onesto. Avrei potuto andare cento volte sotto la curva, ma non sarebbe stato un gesto spontaneo. Invece oggi posso vantarmi di essere entrato nel cuore della gente e di aver raggiunto questi traguardi senza essere mai falso”». [CONTINUA]



(Marcello Gagliani Caputo)

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